Bruciore al petto e ansia: sintomi, cause psicofisiologiche e strategie di trattamento
Il legame tra ansia e bruciore al petto è spesso sottovalutato, nonostante sia una delle manifestazioni psicosomatiche più comuni nei disturbi d’ansia. Questo sintomo genera timore e disorientamento, poiché viene facilmente associato a patologie cardiache o gastrointestinali.
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In realtà, la mente e il corpo sono intimamente connessi: uno stato emotivo di forte tensione può tradursi in reazioni fisiologiche intense, al punto da far sembrare i segnali ansiosi come veri e propri campanelli d’allarme fisici.
In questo estratto esploreremo a fondo
- I meccanismi fisiologici che collegano ansia e bruciore al petto
- le origini di questo sintomo
- le implicazioni psicologiche del bruciore
- le strategie terapeutiche più efficaci per affrontarlo.
Il bruciore al petto legato all’ansia si configura come una sensazione urente, profonda o superficiale, che può localizzarsi nella parte centrale del torace, irradiarsi verso la gola o, talvolta, verso le spalle e la schiena. A differenza del dolore anginoso, spesso descritto come oppressivo e costrittivo, il bruciore ansioso è più variabile, può comparire in modo intermittente e tendere ad accentuarsi in condizioni di stress emotivo, iperventilazione o tensione muscolare.
A livello clinico, questo sintomo può coesistere con una vasta gamma di manifestazioni associate, tra cui:
- Sensazione di costrizione toracica, talvolta confusa con mancanza d’aria;
- Parestesie e formicolii a carico di arti superiori e volto;
- Sensazione di “vuoto allo stomaco” o nodo in gola, che contribuisce alla percezione di minaccia;
- Tachicardia, tremori o sudorazione fredda, che amplificano la preoccupazione per la salute.
Nonostante la componente soggettiva spesso spinga a interpretare il bruciore come segnale di una patologia organica imminente, spesso si tratta di una risposta disfunzionale ma non pericolosa del sistema nervoso centrale e autonomo a uno stato di allerta prolungata.
Quando non vi è alcuna evidenza di patologie mediche, ci si trova spesso davanti a un sintomo psicosomatico. È in questo contesto che l’ansia può diventare la vera protagonista.
Meccanismi fisiologici: come l’ansia genera bruciore al petto
L’ansia non è soltanto un’esperienza psicologica, ma coinvolge profondamente il corpo attraverso una serie di reazioni neurofisiologiche complesse. Quando una persona sperimenta uno stato di ansia acuta o cronica, il corpo mette in atto risposte che, pur avendo un’origine evolutivamente adattiva, possono generare sintomi fisici spiacevoli come il bruciore al petto. Di seguito analizziamo i principali meccanismi fisiologici alla base di questo sintomo.
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L’attivazione del sistema nervoso autonomo
Alla base della risposta ansiosa si trova l’attivazione del sistema nervoso autonomo, in particolare della sua branca simpatica, deputata alla cosiddetta “reazione di attacco o fuga” (fight or flight). Questa reazione è programmata biologicamente per prepararci a reagire rapidamente a pericoli immediati, aumentando l’allerta e predisponendo il corpo all’azione.
Tuttavia, l’organismo non distingue tra una minaccia reale e una percepita, come può esserlo un pensiero preoccupante, un evento sociale stressante o una situazione lavorativa ansiogena. Anche in assenza di un pericolo fisico concreto, si attiva una cascata di risposte fisiologiche:
- Aumento della frequenza cardiaca (tachicardia): il cuore pompa più sangue per ossigenare rapidamente i muscoli, ma ciò può essere percepito come un battito irregolare o pesantezza al petto.
- Contrazione dei muscoli toracici e del diaframma: l’aumento della tensione muscolare, soprattutto a livello del torace, può causare dolore localizzato o senso di costrizione.
- Accelerazione del ritmo respiratorio: la respirazione diventa più rapida e superficiale, un meccanismo utile in situazioni di emergenza ma problematico se cronico.
- Vasocostrizione periferica: il sangue viene deviato dagli organi non essenziali verso quelli vitali (cuore, cervello, muscoli), causando alterazioni nella percezione corporea.
Tutti questi cambiamenti, pur essendo normali in una situazione di pericolo reale, diventano disfunzionali se innescati da una semplice preoccupazione o da pensieri ripetitivi e catastrofici. Il risultato è una sintomatologia fisica che spesso si manifesta con bruciore o oppressione al petto, sensazione che può spaventare chi la sperimenta e rafforzare ulteriormente il circolo vizioso di tipo ansioso.
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Iperventilazione e squilibrio respiratorio
Un secondo importante meccanismo coinvolto nella relazione tra bruciore al petto e ansia è l’alterazione del ritmo respiratorio, in particolare l’iperventilazione. Le persone ansiose tendono a respirare in modo rapido, corto e toracico, piuttosto che con una respirazione diaframmatica profonda. Questa respirazione inefficiente comporta un’eccessiva eliminazione di anidride carbonica (CO₂), con conseguente alcalosi respiratoria.
L’alcalosi determina un aumento del pH nel sangue e provoca una serie di effetti neuro-muscolari e viscerali:
- Formicolii e parestesie (soprattutto a mani, piedi e volto)
- Vertigini o sensazione di testa leggera
- Tensione o spasmi muscolari intercostali
- Sensazione di “nodo al petto” o bruciore toracico
Questi sintomi possono essere erroneamente interpretati come segnali di una patologia cardiaca o neurologica, generando ulteriore ansia. Va sottolineato che la maggior parte delle persone non è consapevole del proprio pattern respiratorio né della sua influenza sulla sintomatologia fisica. Per questo motivo, molte tecniche di intervento cognitivo-comportamentale includono il monitoraggio e la rieducazione respiratoria come componente terapeutica essenziale.
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Reflusso gastroesofageo e stress
Un altro importante mediatore del bruciore al petto in condizioni di ansia è il reflusso gastroesofageo, spesso esacerbato da uno stato di stress cronico. Il sistema gastrointestinale è profondamente influenzato dal sistema nervoso autonomo, e l’attivazione simpatica in condizioni di stress può alterarne significativamente il funzionamento.
Gli effetti dello stress sull’apparato digerente includono:
- Aumento della secrezione acida gastrica, con maggior rischio di irritazione della mucosa dello stomaco e dell’esofago;
- Rallentamento della motilità gastrointestinale, che può causare sensazione di pienezza, digestione rallentata e nausea;
- Riduzione della produzione di muco protettivo, fondamentale per la difesa della mucosa esofagea dall’acidità.
In queste condizioni, il contenuto acido dello stomaco può risalire lungo l’esofago, provocando pirosi retrosternale, una sensazione di bruciore localizzata al centro del petto. Il reflusso, se cronico, può diventare un sintomo ricorrente, amplificato ogni volta che l’individuo si trova in uno stato di tensione prolungata. Poiché il dolore retrosternale da reflusso può somigliare a quello di origine cardiaca, molte persone temono un infarto, aggravando ulteriormente l’ansia.
In sintesi, il legame tra bruciore al petto e ansia può derivare da una complessa interazione tra attivazione neurofisiologica, alterazioni respiratorie e disfunzioni gastrointestinali. Comprendere questi meccanismi consente non solo di ridurre l’allarme soggettivo, ma anche di intervenire in modo mirato attraverso strategie terapeutiche specifiche che vedremo successivamente nel dettaglio, come ad esempio la regolazione del respiro, il rilassamento muscolare e l’educazione psico-fisiologica
Ansia e bruciore al petto: sintomi di tipo psicologico e circoli viziosi
L’associazione tra bruciore al petto e ansia, oltre a rappresentare una manifestazione fisica, ha un impatto profondo sulla dimensione psicologica dell’individuo. Non è raro che un sintomo corporeo così intenso e localizzato in una zona così sensibile come il torace venga interpretato come segnale di una minaccia imminente per la propria vita. Questa interpretazione ha conseguenze rilevanti sul piano cognitivo, emotivo e comportamentale, innescando una spirale di paura e controllo che può cronicizzarsi nel tempo.
1. Interpretazione catastrofica del sintomo: implicazioni cliniche
Tra i meccanismi psicologici maggiormente implicati nella genesi e nel mantenimento del bruciore al petto associato all’ansia, l’interpretazione catastrofica rappresenta un processo cognitivo di particolare rilevanza clinica. Tale fenomeno si manifesta quando una sensazione corporea, soprattutto se improvvisa, intensa o localizzata in aree percepite come vitali, come il torace, viene attribuita a una patologia grave, frequentemente di natura cardiovascolare.
Nei soggetti con vulnerabilità ansiosa e ridotta tolleranza all’incertezza o al disagio somatico, è frequente l’attivazione di pensieri automatici disfunzionali. Tali cognizioni tendono a ipotizzare scenari clinicamente estremi o minacciosi, come un imminente evento cardiaco acuto o un cedimento fisiologico generalizzato. L’anticipazione di conseguenze potenzialmente fatali intensifica l’arousal emotivo e comporta una escalation fisiologica caratterizzata da aumento del tono muscolare, della frequenza cardiaca e della ventilazione, che a loro volta amplificano la percezione del sintomo toracico.
Questo processo configura un circolo vizioso psicosomatico, in cui l’attivazione ansiosa produce il sintomo somatico, e quest’ultimo viene interpretato come conferma della minaccia ipotizzata, rafforzando ulteriormente la risposta ansiosa. Tale dinamica, oltre a contribuire alla cronicizzazione del quadro clinico, può condurre allo sviluppo di comportamenti di evitamento, ipervigilanza enterocettiva e compromissione funzionale.
Il meccanismo è frequentemente osservabile nel disturbo da attacchi di panico, ma può presentarsi anche nel disturbo d’ansia generalizzata, nei disturbi somatoformi e in condizioni subcliniche, generando un ipercontrollo corporeo e una costante sensazione di vulnerabilità fisica.
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Ipervigilanza e sensibilizzazione corporea
Un secondo meccanismo che rafforza il legame tra ansia e bruciore al petto è l’ipervigilanza corporea, ovvero la tendenza a monitorare in modo eccessivo e costante le sensazioni provenienti dal proprio corpo. Questo fenomeno è particolarmente diffuso nei soggetti ansiosi, che sviluppano nel tempo una ipersensibilità somatica.
Secondo questo meccanismo, l’individuo tende a focalizzarsi su ogni minimo cambiamento interno come battiti cardiaci, ritmo respiratorio, contrazioni muscolari, rumori intestinali, interpretandoli come segnali di pericolo. Tale vigilanza interna può determinare:
- Difficoltà a distinguere sensazioni corporee fisiologiche da segnali patologici, rendendo ogni stimolo interno una potenziale minaccia.
- Aumento della tensione muscolare e della frequenza respiratoria, in risposta allo stato di allerta costante, che contribuisce ulteriormente alla comparsa del bruciore toracico.
- Stati d’ansia molto elevati innescati da sensazioni corporee neutre, percepite come catastrofiche.
La costante attenzione ai segnali corporei amplifica la loro intensità percepita e ne favorisce la cronicizzazione, portando il soggetto a vivere il proprio corpo come imprevedibile e minaccioso. Questo atteggiamento è spesso accompagnato da comportamenti compulsivi di controllo (misurazione della pressione, consulti medici ripetuti, ricerca online dei sintomi) che anziché rassicurare, aumentano l’ansia e rinforzano il modello di malattia.
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Evitamento e limitazioni nella vita quotidiana
Un ulteriore effetto psicologico del bruciore al petto legato all’ansia riguarda i comportamenti di evitamento. La paura che il sintomo si manifesti in determinate situazioni porta la persona a modificare le proprie abitudini quotidiane, rinunciando progressivamente a molte attività.
Tra i comportamenti più comuni troviamo:
- Evitamento dell’attività fisica, per timore che lo sforzo aumenti la frequenza cardiaca e provochi un attacco.
- Evitamento di luoghi affollati o distanti da strutture sanitarie, come centri commerciali, mezzi pubblici o autostrade.
- Limitazione della guida autonoma o dei viaggi, a causa della paura di avere un malore lontano da casa.
Queste condotte, inizialmente messe in atto per ridurre l’ansia, finiscono per ridurre drasticamente il grado di autonomia e libertà della persona.
Nel medio-lungo termine rafforzano la percezione di vulnerabilità e perdita di controllo, entrando in una dinamica condizionata di tipo fobico, che può portare all’isolamento sociale, alla limitazione delle esperienze di vita e all’aggravarsi del quadro ansioso-depressivo. La vita quotidiana si restringe, il senso di autoefficacia si indebolisce e cresce la dipendenza da figure di riferimento (partner, familiari, medici).
Questo schema di evitamento è comune nei disturbi d’ansia ad elevato impatto funzionale e può rappresentare un importante fattore di mantenimento del disturbo stesso. Più il soggetto evita, meno possibilità ha di smentire le proprie paure, e più si convince della loro fondatezza.
La relazione tra ansia e bruciore al petto non rappresenta solo un disagio momentaneo, ma può diventare il fulcro di una riorganizzazione disfunzionale del pensiero, dell’attenzione e dei comportamenti. Interpretazioni catastrofiche, ipervigilanza corporea ed evitamenti limitanti concorrono a costruire un vero e proprio “disturbo da sintomo corporeo”, in cui il sintomo fisico è vissuto come una minaccia continua.
Riconoscere l’origine psicologica del bruciore al petto è un primo passo fondamentale per interrompere questo ciclo e orientarsi verso un trattamento efficace.
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Diagnosi differenziale: escludere cause organiche prima di attribuire il bruciore al petto all’ansia
Quando un paziente riferisce bruciore al petto, soprattutto in presenza di uno stato ansioso noto o presunto, è fondamentale non sottovalutare il sintomo e procedere con una corretta diagnosi differenziale. Questo passaggio è essenziale per distinguere tra una manifestazione di ansia e bruciore al petto di origine psicosomatica e condizioni cliniche che potrebbero invece richiedere un intervento medico appropriato.
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Il principio dell’esclusione medica
Il corpo umano è un sistema complesso e molteplici apparati possono contribuire alla sensazione di dolore o bruciore toracico. Prima di ricondurre il sintomo a una causa psicogena, è necessario escludere attentamente ogni possibile causa organica. Questo approccio non solo è clinicamente corretto, ma ha anche una funzione terapeutica: fornisce rassicurazione al paziente e interrompe il ciclo di preoccupazioni catastrofiche spesso legato alla paura di malattie gravi.
Di seguito, gli accertamenti comunemente richiesti nel sospetto di bruciore toracico non ancora attribuito all’ansia:
- Valutazione cardiologica completa, che include elettrocardiogramma (ECG), ecocardiogramma e test da sforzo, per escludere ischemie, aritmie o patologie strutturali del cuore.
- Esami gastroenterologici, come ecografia addominale o gastroscopia, per verificare la presenza di esofagite da reflusso, gastrite, ulcere o ernia iatale, tutte condizioni che possono dare bruciore retrosternale simile a quello ansioso.
- Esami ematochimici, inclusi markers infiammatori (VES, PCR), enzimi cardiaci e funzionalità epatica e renale, per escludere stati infiammatori o disfunzioni sistemiche.
- Valutazione polmonare, attraverso RX torace o spirometria, in caso di sospetto di patologie respiratorie come pleurite, bronchite o pneumotorace, che possono anch’esse generare fastidi toracici.
Questo insieme di esami consente al medico di orientarsi tra i diversi apparati coinvolti nella percezione del sintomo. Solo in presenza di un quadro clinico negativo (ovvero quando tutti gli esami risultano nella norma) si può cominciare a ipotizzare con maggiore sicurezza un legame significativo tra ansia e bruciore al petto e l’eventuale presenza di un disturbo psicosomatico.
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Il ruolo della somatizzazione ansiosa
Una volta escluse le patologie organiche, il bruciore al petto può essere interpretato come una forma di somatizzazione ansiosa, cioè l’espressione corporea di uno stato emotivo alterato. Questo processo è particolarmente frequente nei disturbi d’ansia, nei disturbi da somatizzazione e nei disturbi da attacchi di panico.
Il corpo, in questi casi, diventa il teatro della sofferenza psicologica, e i sintomi fisici (come il bruciore al petto) possono essere intensi al punto da convincere il paziente di essere affetto da una grave malattia. Questo è uno dei motivi per cui la diagnosi differenziale, oltre a essere necessaria da un punto di vista medico, è anche fondamentale sul piano psicologico: escludere malattie gravi permette al paziente di iniziare un percorso di accettazione del legame tra ansia e bruciore al petto, e di orientarsi verso un trattamento adeguato.
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Psicoeducazione come primo strumento terapeutico
Nel momento in cui si riconosce che il sintomo ha una base psicologica, la psicoeducazione rappresenta un primo passo terapeutico cruciale. Spiegare al paziente i meccanismi con cui l’ansia può generare sintomi fisici, come iperventilazione, tensione muscolare e reflusso gastroesofageo, aiuta a ridurre l’allarme soggettivo e a interrompere il circolo vizioso tra paura e sintomo.
Una psicoeducazione efficace dovrebbe includere:
- Spiegazioni neurofisiologiche semplici e rassicuranti, che mostrino come l’attivazione del sistema nervoso autonomo possa generare sintomi corporei intensi ma non pericolosi.
- Normalizzazione dell’esperienza: far capire al paziente che molte persone ansiose sperimentano bruciore al petto e che non si tratta di un sintomo “strano” o segnale di una patologia grave.
- Indicazioni pratiche per la gestione iniziale, come esercizi di respirazione diaframmatica, tecniche di rilassamento e ristrutturazione cognitiva dei pensieri catastrofici.
Questa fase, se condotta correttamente, può già determinare un miglioramento significativo dei sintomi, soprattutto nei pazienti che si trovano all’inizio del loro percorso clinico o che non hanno ancora sviluppato forme gravi di evitamento.
In sintesi, la corretta interpretazione del rapporto tra ansia e bruciore al petto passa necessariamente da un processo diagnostico accurato e responsabile. Solo dopo aver escluso patologie organiche si può parlare di somatizzazione o sintomatologia ansiosa. In questi casi, l’intervento psicologico, a partire dalla psicoeducazione, può rappresentare non solo un’alternativa alla medicalizzazione inutile, ma anche un primo passo verso un cambiamento duraturo, basato sulla consapevolezza e sulla gestione delle emozioni.
Come trattare ansia e bruciore al petto con sintomi relativi e correlati: un approccio integrato di intervento
Quando è presente il legame tra ansia e bruciore al petto, l’obiettivo terapeutico principale è intervenire sia sui meccanismi fisiologici sottostanti sia sulle interpretazioni cognitive disfunzionali che contribuiscono a mantenerlo. Il bruciore toracico di origine ansiosa, pur essendo intenso e spaventoso, può essere efficacemente gestito attraverso un approccio integrato che combini psicoterapia, eventuale supporto farmacologico e tecniche corporee di autoregolazione. Di seguito vengono analizzati in dettaglio i principali strumenti disponibili.
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Psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT)
La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) rappresenta l’intervento psicologico di prima scelta per il trattamento dell’ansia e del bruciore al petto di origine somatica. La sua efficacia è stata ampiamente dimostrata da numerosi studi clinici, in particolare nei disturbi d’ansia, nei disturbi da attacchi di panico e nei disturbi da somatizzazione.
La CBT si articola in vari moduli di intervento, tra cui:
- Ristrutturazione cognitiva
Si lavora sui pensieri automatici negativi e catastrofici che spesso accompagnano il bruciore al petto, come “sto per morire” o “ho qualcosa al cuore”.
Questi pensieri vengono analizzati e sostituiti con interpretazioni più realistiche, basate sull’evidenza, ad esempio:- “Ho già fatto esami medici, il mio cuore è sano”
- “È una reazione dell’ansia, passerà”
Questo processo riduce la paura anticipatoria e la reattività emotiva al sintomo.
- Esposizione enterocettiva
Tecnica particolarmente efficace nei pazienti che temono le proprie sensazioni corporee.
Consiste nel ricreare in modo controllato, durante la seduta o a casa, le stesse sensazioni temute (es. respirazione accelerata per simulare la tachicardia, corsa sul posto per aumentare il battito), allo scopo di:- Desensibilizzare il sistema di allarme
- Dimostrare la non pericolosità delle sensazioni fisiche
- Psicoeducazione mente-corpo
Fase fondamentale in cui il terapeuta spiega, con linguaggio accessibile, come ansia e bruciore al petto siano collegati attraverso:- L’attivazione del sistema nervoso autonomo
- I cambiamenti nel ritmo respiratorio
- La tensione dei muscoli intercostali
Comprendere questi meccanismi contribuisce a ridurre significativamente l’allarme soggettivo.
- Training di rilassamento
Tecniche finalizzate alla regolazione del sistema nervoso autonomo e alla gestione dell’iperattivazione fisiologica, tra cui:- Rilassamento muscolare progressivo (Jacobson)
- Respirazione diaframmatica
- Mindfulness
Queste pratiche aiutano a ridurre la rimuginazione ansiosa e ad aumentare la consapevolezza corporea in modo non giudicante.
L’integrazione di queste tecniche favorisce un miglioramento progressivo dei sintomi, sia fisici che psicologici, fornendo al paziente strumenti operativi concreti per la gestione dell’ansia nella quotidianità.
- Trattamento farmacologico
In presenza di sintomatologia ansiosa grave o persistente, può essere indicata una terapia farmacologica a supporto del trattamento psicologico, soprattutto nei casi in cui la sintomatologia somatica impedisce al paziente di partecipare attivamente al trattamento.
I principali farmaci impiegati includono:
- Antidepressivi SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) e SNRI (inibitori della ricaptazione di serotonina e noradrenalina)
- Considerati farmaci di prima linea per il trattamento dell’ansia.
- Agiscono sui sistemi neurotrasmettitoriali coinvolti nella regolazione emotiva e dello stress.
- Sono efficaci nel ridurre la frequenza e l’intensità delle somatizzazioni, come il bruciore al petto.
- Gli effetti terapeutici emergono in genere dopo 2–4 settimane di assunzione regolare.
- Ansiolitici (es. benzodiazepine)
- Utilizzati per alleviare i sintomi acuti solo nel breve termine.
- Offrono un sollievo rapido, ma non sono indicati per uso prolungato.
- È necessario monitorarne attentamente l’impiego per il rischio di tolleranza, sedazione e dipendenza.
- Farmaci per il trattamento del reflusso gastroesofageo
- Inibitori di pompa protonica (es. omeprazolo) possono essere prescritti nei casi in cui il bruciore al petto sia aggravato da fattori gastrici (anche questi farmaci dovrebbero essere implementati per periodi brevi possibilmente per poi andare a recuperare gli equilibri naturali delle funzioni gastrointestinali).
- L’intervento farmacologico su eventuali componenti somatiche non esclude, ma anzi integra, il percorso terapeutico psicologico.
Il trattamento farmacologico deve essere sempre prescritto e monitorato da un medico specialista in psichiatria, che valuterà attentamente la storia clinica del paziente, la gravità del quadro sintomatologico e la compatibilità terapeutica dei farmaci.
- Tecniche integrative e approccio corpo-mente
A fianco della psicoterapia e, quando necessario, del trattamento farmacologico, esistono numerosi interventi integrativi che possono potenziare gli effetti del trattamento e promuovere un equilibrio psicofisico più stabile.
Tra le tecniche integrative più efficaci troviamo:
- a) Biofeedback
- Tecnica che utilizza sensori per monitorare parametri fisiologici come battito cardiaco, respirazione e tensione muscolare.
- Il paziente impara a riconoscere e regolare consapevolmente le risposte del proprio corpo allo stress, riducendo l’incidenza e l’intensità dei sintomi.
- b) Yoga e meditazione
- Agiscono sia sulla mente che sul corpo, migliorando il tono vagale (cioè, la capacità del sistema nervoso parasimpatico di inibire l’attivazione)
- Favoriscono la respirazione lenta e diaframmatica
- promuovono una consapevolezza corporea più calma e integrata.
- c) Attività fisica regolare e moderata
- Contribuisce a ridurre i livelli di cortisolo (l’ormone dello stress)
- Migliora l’umore grazie all’aumento di endorfine e serotonina
- Aiuta a scaricare la tensione muscolare accumulata nel torace, spesso responsabile del bruciore.
- È importante che l’attività venga personalizzata e introdotta gradualmente, evitando eccessi che potrebbero alimentare l’ansia.
Questi interventi non sono da intendersi come “alternative” alla psicoterapia, ma come complementi che rafforzano il percorso terapeutico e facilitano la costruzione di uno stile di vita più sano e resiliente.
Il trattamento della condizione di ansia e bruciore al petto richiede un approccio multilivello che tenga conto sia della dimensione fisica che di quella emotiva. La psicoterapia cognitivo-comportamentale costituisce il cardine dell’intervento, ma può essere efficacemente supportata da strategie farmacologiche e pratiche integrative. Un piano terapeutico ben strutturato consente non solo la riduzione dei sintomi, ma anche un miglioramento della qualità della vita, grazie al recupero del senso di controllo sul corpo e sulla mente.
Conclusione
Il bruciore al petto è un sintomo che, se associato all’ansia, può destabilizzare profondamente chi lo vive. Tuttavia, riconoscere la natura psicosomatica di questo segnale è il primo passo verso il recupero. Attraverso un lavoro psicoterapico mirato, una corretta educazione sul funzionamento mente-corpo e, se necessario, un adeguato supporto farmacologico, è possibile uscire dal circolo vizioso dell’ansia e tornare a vivere con serenità. Chi soffre di ansia e bruciore al petto non deve sentirsi solo o frainteso. Rivolgersi a professionisti esperti, sia in ambito medico che psicologico, è fondamentale per affrontare in modo efficace questo disturbo e migliorare significativamente la qualità della vita. Contattaci per avere informazioni su come potremmo impostare l’intervento adattato sulle caratteristiche specifiche del tuo problema.
Dott. Leonardo Forlin
Psicologo clinico
Studio Sofisma
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E SITOGRAFIA
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RIFERIMENTI UTILI
https://health.clevelandclinic.org/can-anxiety-cause-chest-pain
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