Cosa fare quando tuo figlio non vuole fare i compiti? Il caso di Luca

Perché mio figlio non vuole fare i compiti? Perché devo sempre insistere così tanto? Cosa fare quando un figlio non vuole fare i compiti? Vediamo insieme quali strategie possono aiutarti a venire a capo di queste difficoltà.

Perché mio figlio non vuole fare mai fare i compiti? Perché non fa mai il suo dovere senza che debba insistere?

Queste sono domande che spesso alcuni genitori si ritrovano a porsi senza riuscire a trovare una risposta precisa.

Nei precedenti video e articoli abbiamo visto che per intervenire dal punto di vista educativo sui comportamenti del proprio figlio si deve agire su incentivi e conseguenze ambientali.

Oggi vedremo come applicare questo principio per favorire l’autonomia del proprio figlio nel fare i compiti e lo faremo analizzando il caso di Luca, un bambino di 9 anni su cui era stato impostato un intervento educativo.

COSA FARE QUANDO TUO FIGLIO NON VUOLE FARE I COMPITI? ANALISI DEL PROBLEMA

Nella richiesta di supporto dei genitori di Luca, insieme ad altri aspetti su cui intervenire, vi era proprio la quotidiana difficoltà nel fargli fare i compiti.

Ogni giorno vi erano contrasti tra genitori e bambino: “Luca è tardi devi fare i compiti”, “Luca dopo devi andare all’allenamento e devi fare tutto di fretta”, “Luca te l’ho già detto un sacco di volte, devi fare i compiti”.

Spesso ci si trovava in orario serale a dover fargli fare i compiti di fretta che erano sempre stati posticipati.

Spesso mamma e papà gli spiegavano quanto fosse importante mettere i compiti e la scuola al primo posto ma questo non dava risultati e per i genitori vi era grande frustrazione per il fatto che il bambino non cambiasse le sue abitudini.

L’intervento educativo ha seguito le fasi descritte nei precedenti articoli:

  • Fase di valutazione e raccolta di informazioni;
  • Selezione degli obiettivi e delle strategie di intervento;
  • Colloqui di potenziamento delle abilità genitoriali (utilizzo di tecniche di gestione delle contingenze).

Per i dettagli su come è impostato il servizio di intervento sulle abilità genitoriali leggi i precedenti articoli.

Dalla fase di valutazione e osservazione è emerso che Luca, dopo la scuola, giocava con la playstation, guardava la TV o giocava con le costruzioni in salone.

COSA FARE QUANDO TUO FIGLIO NON VUOLE FARE I COMPITI? IL PUNTO FOCALE DEL PROBLEMA

Luca aveva acceso libero e diretto ai suoi incentivi preferiti senza dover mettere in atto nessun comportamento costruttivo.

Mettiamoci nei panni di un bambino di 9 anni con tutto quel ben di dio di giochi e divertimenti davanti!

Tutta l’attenzione e l’iniziativa del bambino sarà orientata a quegli incentivi e i compiti verranno il più possibile procrastinati.

Una volta concordati gli obiettivi di intervento con i genitori, che comprendevano il problema dei compiti, si è avviato l’intervento educativo con dei colloqui con mamma e papà durante i quali venivano date indicazioni su come intervenire a casa.

Per l’obiettivo specifico del problema compiti, con i genitori si è concordato di eliminare la disponibilità diretta di giochi e playstation mettendoli in un posto che non fosse accessibile al bambino.

In questo modo gli incentivi selezionati erano disponibili solo richiedendoli al genitore.

Inoltre, con una loro temporanea privazione si aumentava il potenziale motivante di questi incentivi.

Mio figlio non vuole fare i compiti

COSA FARE QUANDO TUO FIGLIO NON VUOLE FARE I COMPITI? REGOLE E STRATEGIE USATE

Tramite un contratto comportamentale sono state spiegate al bambino le nuove regole:

Dopo la scuola e il pranzo, se vuole potrà rilassarsi un po’ sul divano e guardare un po’ di tv mentre Playstation e giochi sarebbero stati resi disponibili al bambino solo una volta terminati i compiti.

Questi incentivi dovevano costituire una conseguenza positiva e contingente allo svolgimento dei compiti a casa.

Con i genitori si sono inoltre concordate le modalità ottimali di interazione col bambino e di comunicazione delle nuove regole, in modo da ridurre il più possibile il contrasto tra genitore e bambino.

Tra le tecniche usate per favorire una corretta interazione con il loro figlio vi era il “Rimprovero centrato sul comportamento” insieme al tono di voce e allo stile comunicativo ottimali per comunicare col bambino i quali venivano descritti in dettaglio durante i colloqui col terapeuta.

In parallelo, per gestire capricci e l’iniziale opposizione del bambino alle nuove regole sono state insegnate ai genitori le tecniche dell’ignorare selettivo e del time out guidandoli nella loro corretta esecuzione e concordando i comportamenti del bambino che prevedevano un loro utilizzo.

Ogni oppositività, insistenza e tentativo di rompere le nuove regole da parte del bambino sarebbe stata ignorata dal genitore, secondo le modalità indicate dal terapeuta.

In questo modo non sarebbe stata data attenzione a quelle modalità disfunzionali, favorendo una loro progressiva estinzione e l’implementazione delle nuove regole.

Il time out serviva solo per le emergenze.

Questa tecnica sarebbe stata applicata solo nel caso in cui, una volta che il genitore ignorava insistenza e opposizione del bambino, questo avesse messo in atto comportamenti aggressivi o rischiato di rompere qualcosa.

Il time out sarebbe stato usato solo nel momento in cui il bambino avesse manifestato dei comportamenti che in nessun modo potevano essere ignorati (per un esempio di applicazione del time out leggi l’articolo del caso di Anna).

Per favorire il processo di cambiamento, in una prima fase è stato indicato ai genitori di dare sostanziale aiuto al bambino nei compiti portandolo rapidamente vicino alla loro conclusione e lasciando in sospeso solo gli esercizi più semplici e che era in grado di svolgere in completa autonomia.

In questo modo una mansione molto semplice da eseguire sarebbe stata seguita da un forte incentivo rappresentato dall’accesso immediato e contingente a giochi e playstation.

Il forte sbilanciamento tra valenza dell’incentivo e semplicità del comportamento richiesto avrebbe reso molto conveniente per il bambino seguire le indicazioni corrette e molto sconveniente opporsi alla regola non facendo i compiti.

Questo piccolo stratagemma riduce in modo significativo l’opposizione iniziale del bambino a seguire la regola e in questo caso ad avere iniziativa nel fare i compiti.

L’aiuto del genitore sarebbe stato gradualmente rimosso man mano che il bambino rispondeva positivamente alla nuova routine quotidiana e accettava di fare i compiti per avere accesso all’incentivo.

Mio figlio non vuole fare i compiti

COSA FARE QUANDO TUO FIGLIO NON VUOLE FARE I COMPITI? GLI EFFETTI DELLE NUOVE REGOLE

Dopo un primo periodo di tentativi del bambino di rompere la regola e di ristabilire la situazione precedente all’applicazione delle nuove procedure, Luca ha iniziato di sua iniziativa a richiedere alla mamma di fare i compiti nel primo pomeriggio.

La corretta applicazione delle regole concordate aveva fatto passare il messaggio al bambino che l’unico modo di avere accesso ai suoi incentivi preferiti era completare i compiti a casa e per questo chiedeva alla mamma di farli: fare i compiti era diventato vantaggioso e incentivante per lui.

Questo tipo di imposizione ha fatto sì che il bambino, chiedendo attivamente di svolgere i compiti, sperimentasse i vantaggi del fare i compiti bene e subito che i genitori gli avevano sempre solo spiegato a parole: essere lodati dai genitori, ridurre le tensioni con loro e avere poi tutto il pomeriggio libero.

Dopo un’iniziale imposizione saranno questi vantaggi più costruttivi a stimolare autonomia e senso di responsabilità da parte del bambino.

Anche in questo caso abbiamo visto come la modifica di una modalità di comportamento problematica necessiti di intervenire sulle conseguenze ambientali.

Nei prossimi video e articoli approfondiremo alcune di queste modalità di intervento, segui la nostra pagina per non perderli.

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Dott. Alberto Cocco

PSICOLOGO CLINICO

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